Nel 1934, Miró inizia il suo “Periodo selvaggio”, legato a un’astrazione più nitida, ispirata a Paul Klee. A causa della guerra civile, decide di rimanere a Parigi con la moglie e la figlia. Significativo è il Segador (Paese catalano in rivolta) realizzato per l’Expo di Parigi nel 1937.
Colpito dalla vittoria del generale Franco e l’inizio della seconda guerra mondiale Mirò si rifugia a Varengeville un villaggio normanno. Qui la sua carriera prende una svolta definitiva, avvia le sue Costellazioni, che poi continuerà a Palma de Mallorca dopo il 1941. Si tratta di una ventina di piccole composizioni ispirate alla contemplazione del cielo stellato della costa della Normandia, dove scopre un nuovo concetto di spazio che anticipa gran parte della pittura non figurativa post 1945.
L’autoritratto prende i panni di un ritratto e il volto risulta mappa, superficie di iscrizione. La regola è dipingersi in divenire. Nell’ esemplare conservato al Moma di New York (Autoritratto, 1937-1939) l’effigie dell’artista è rivestita di petali, stelle, fiori, foglie, gocce. Alcuni sostano sul copricapo, altri premono con energia sul volto, varcandone pareti e cavità. Nella versione di Detroit, Institute of Arts Museum (Autoritratto II, 1938), il mondo finisce per inglobare il corpo con agenti esterni elevati al rango di «autoritratto»: di nuovo stelle, fiamme, lune, soli. «Lavorare all’Autoritratto che ho a Parigi come se fosse un paesaggio. Le vene come se fossero fiumi, la barba delle guance come se i peli fossero l’erba di un prato, i volumi del viso come rilievi del terreno» (Miró, 1940–1941).